Articolo apparso il 26/05/2023 sul quotidiano “Il Resto del Carlino” relativamente all’incontro organizzato giovedì 25 maggio.

L’incontro organizzato al Cecchi dalla Cgil: evocati i casi avvenuti in provincia, un processo è ancora in piedi

«Pesaro e Urbino non sono immuni». A parlare di agromafia e caporalato agli studenti dell’istituto agrario Cecchi, la Cgil provinciale ha invitato Jean Rene Bilongo, presidente dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil che annualmente monitora il fenomeno. L’esponente nazionale della Federazione lavoratori agroindustria (Flai) ha spiegato, dati alla mano, che dei 440 processi penali esistenti per caporalato da quando, nel 2000 è stato istituito il reato, due hanno avuto sede nel nostro territorio. «In Italia la prima condanna per caporalato è stata quella del Tribunale di Pesaro – conferma il segretario generale dei confederali, Roberto Rossini, evocando il caso arrivato in Cassazione che ha condannato una società in subappalto al cantiere di Autostrade, perché obbligava i propri operai a lavorare in semischiavitù, all’ampliamento della terza corsia –. A seguito di quell’esperienza siglammo con il Prefetto Lapolla un’intesa per prevenire le distorsioni procurate dalla possibilità di subappaltare senza vincoli le opere e i servizi. Oggi andrebbe attualizzato perché la legge è cambiata: al prefetto Saveria Greco abbiamo chiesto un impegno in questo senso». E il secondo caso? «E’ un processo ancora in piedi e per cui Cgil è parte civile: è avvenuto a Piandimeleto, dove, un caporale si riprendeva parte dei salari pagati ad un gruppo di operai agricoli di origine pakistana usando la minaccia di ripercussioni sulle famiglie rimaste in Pakistan». Bilongo ha chiesto ai ragazzi: «Sapete perché quella storia è emersa, permettendo l’intervento dell’Ispettorato del lavoro e dei carabinieri? Perché qualcuno ha pensato si trattasse di un’ingiustizia da cui ribellarsi – ha detto il sindacalista –. Non c’è libertà se prima non abbiamo consapevolezza di cosa sia giusto e cosa sia sbagliato. Non c’è libertà, quindi, senza legalità». Bilongo ha conquistato l’attenzione dei ragazzi non tanto perché ha detto di essere “arrivato in Italia, dal Camerun, 23 anni fa, da clandestino“ e nemmeno perché parlava un italiano forbito, denso di cultura europea, ispirato dal pensiero di Kant, Altiero Spinelli e Oscar Wilde. Li ha agganciati sul senso civico: «Il caporalato non è un problema del lavoratore straniero – ha detto –. Sono ben 230mila le persone che lavorano anche dieci ore al giorno per una paga annua che non arriva a 2.300 euro. Di queste 55mila sono donne: molte sono le pugliesi nell’alta Murgia. E’ italiana Paola Clemente, bracciante agricola, madre di tre figli morta mentre lavorava in una vigna a 300 chilometri da casa sua. Per sette ore di lavoro prendeva 27 euro di paga, ma 12 euro erano destinati al caporale per il trasporto che, quotidianamente, accompagnava Clemente da San Giorgio Jonico (partenza alle 3 del mattino) a Canosa di Puglia». Solidea Vitali Rosati